Social Media Manager: come lavorare Online in regola con il Fisco

Social Media Manager: come lavorare Online in regola con il Fisco. Il Social Media Manager è una professione nata di recente con la diffusione dei social network. In questo articolo faremo una panoramica sulla professione, sul percorso di formazione e di professionalizzazione, sulla remunerazione. Concluderemo con qualche informazione utile a chi nutre dubbi su un argomento fondamentale: dichiarare i guadagni, mettersi in regola con il fisco.

Nel corso degli ultimi anni si è in un certo senso standardizzata, svincolando i professionisti dall’obbligo dell’improvvisazione. Ciononostante, il Social Media Manager rimane, almeno in parte, una figura creativa, chiamata a risolvere problematiche spesso inedite. Un altro problema, se così si può chiamare, riguarda la formazione. I piani di studio delle università non sono abbastanza aggiornati e non preparano i futuri professionisti come dovrebbero. Diventare un SMM vuol dire, spesso, percorrere strade alternative. 

Cosa fa un Social Media Manager

In proposito, spesso le idee non sono chiare, soprattutto quelle di coloro che beneficiano dell’attività del Social Media Manager. E’ ancora diffusa la percezione secondo cui, in fondo, gestire la presenza sui social media sia semplice, che sia sufficiente intendersene un po’ di computer.

Insomma, sono in molti a credere che la professione del SMM sia in realtà una non-professione, tale per cui vale la celebre affermazione “lo può fare anche mio cugino”.

La verità è ben diversa. E’ una professione molto difficile, se fatta in una prospettiva di business. Il rifermento non è alla gestione vincolata al tempo libero, ma a chiari obiettivi di marketing e comunicazione. Questi, per capirci, non riguardano solo la vendita ma anche la crescita del parco clienti, il miglioramento della reputazione (brand reputation), il posizionamento (brand image) e così via.

Quella del SMM è una professione difficile perché obbliga, in un certo senso, a mantenere il piede in due staffe. Da un lato, come già anticipato, è una figura creativa e relazionale, che gioca con le parole, che si interfaccia con il pubblico (seppur indirettamente). Dall’altro lato, è una figura tecnica, che vive immerso negli analytics, che monitora e rilascia report, che affronta ogni giorno le tematiche della visibilità organica e non organica.

Le attività del Social Media Manager

Nello specifico, però, cosa fa il Social Media Manager? Le attività di un SMM sono essenzialmente tre.

  • Redige un piano editoriale – E’ il fulcro della professione. Il suo scopo è curare i profili social dei clienti, affinché questi possano raggiungere degli obiettivi, i quali possono anche non essere di vendita. Redigere un piano editoriale vuol dire pensare a dei “modelli di post” da alternare, verificare la presa che essi hanno sul pubblico, cambiarli in corsa, declinarli in parole e immagini accattivanti per il pubblico. E proprio qui sta la difficoltà: non creare buoni contenuti, bensì contenuti adatti a uno specifico target. Dunque questa fase si caratterizza anche per una propedeutica attività di studio e di ricerca. E’ necessario analizzare il mercato di riferimento e individuarne le opportunità. E’ necessario soprattutto analizzare il pubblico a cui si vuole parlare e individuare quali linguaggi e quali contenuti fanno al caso loro. Molto spesso, si arriva alla giusta quadra attraverso prove e fallimenti, ipotesi e verifiche. E’ uno dei rischi del mestiere.
  • Gestisce l’operatività – E’ probabilmente la sfida più grande. Per alcuni, l’attività più fastidiosa. Non tanto per l’obbligo di rapportarsi con il prossimo, bensì per l’imprevedibilità che caratterizza questa attività (o insieme di attività). Molto spesso, gestire l’operatività vuol dire rispondere ai commenti, puntualizzare, rettificare un messaggio compreso male dagli utenti. Nella migliore delle ipotesi, gestire l’operatività vuol dire stimolare le conversazioni all’interno del profilo, che non è affatto semplice. Il tocco del Social Media Manager deve essere discreto, mai invadente ma deve altresì esprimere un’idea di vicinanza. Chi gestisce una pagina, per esempio, deve far credere agli utenti che è uno di loro. Il motivo di ciò è lapalissiano: oggi vince chi comunica in maniera orizzontale, chi scende dal piedistallo.
  • Monitora i risultati e realizza report – E’ la parte più importante, se non altro a livello… Economico. I report consentono infatti al cliente di valutare il lavoro del SMM, e a quest’ultimo di collaborare con il cliente. La difficoltà, da questo punto di vista, è duplice. Da un lato vi è la necessità di raccogliere più dati possibili e da più fonti. Gli “insight” presenti in ciascun social network sono utili e spesso esaustivi ma non ci si può fermare a quelli. Dall’altro lato, vi è la difficoltà di organizzare i dati e di renderli fruibili al cliente. Non bisogna mai dimenticare che il cliente quasi mai è un esperto di comunicazione, men che meno digitale. E’ necessario quindi “conciare” i dati in modo leggibile, magari facendo ampio uso di PowerPoint.

Va specificato che in alcuni contesti queste attività potrebbero essere scorporate e assegnate ad altre figure. Ciò deriva da com’è strutturata l’impresa presso cui si lavora (se si è dipendenti, ovviamente). Per esempio, parte dell’operatività, come quella legata alla relazione diretta con gli utenti, potrebbe essere assegnata a un professionista del CRM (Customer Relationship Manager). Analogamente, l’analisi dei risultati e degli Insight potrebbe essere appannaggio di un Data Analyst.

Lo stipendio da Social Media Manager

E’ la classica domanda da un milione di dollari. E’ anche una domanda a cui è praticamente impossibile rispondere. In primo luogo, dipende dall’inquadramento del Social Media Manager. La prima distinzione è quella tra libero professionista, o freelance, e lavoratore dipendente.

Nel primo caso fare una stima è quasi impossibile. Nel secondo caso dipende dal grado di anzianità.

Secondo la maggior parte delle testimonianze, però, chi inizia da freelance, ammettendo che sia bravo in ciò che fa, inizia con i classici 800-1000 euro netti al mese. Di contro, lo stipendio di un SMM Junior, appena giunto in azienda o di recente “uscito” da stage o apprendistato, supera di poche centinaia di euro il migliaio.

Gli unici dati certi sono quelli che provengono dagli Stati Uniti. Una ricerca di Payscale.com rivela che negli USA la forbice va dai 26.000 dollari ai 71.000 dollari all’anno. Cifra solo all’apparenza elevate, visto il costo della vista negli States e niente di particolarmente eclatante rispetto ad altre professioni (un bravo pizzaiolo raggiunge i 40.000 dollari annui).

Diventare Social Media Manager: studi e gavetta

Come già accennato, la professione del SMM si è standardizzata – per giunta parzialmente – da poco. Non stupisce quindi che i canali di formazione ufficiali siano ancora indietro rispetto a quanto il mercato richiede. Anche nelle facoltà di comunicazione più all’avanguardia, l’argomento “social media” è presente sotto forma di moduli disciplinari, tutt’al più è oggetto di corsi extra-curriculari.

Più utili sono alcuni master, che spesso affrontano il tema in modo chiaro, concreto, integrando nel corpo docenti veri e propri professionisti del settore.

Una domanda a questo punto sorge spontanea: la laurea in comunicazione è necessaria? La risposta è comunque sì, anche perché è necessaria per entrare nel mondo del lavoro.

Che lo facciate da stagista o da libero professionista, gli studi in comunicazione rappresentano un requisito fondamentale. Sono poche le imprese che assumono, anche in qualità di tirocinanti, un non laureato. Analogamente, quando si intraprende la via del libero professionismo e il portfolio è ancora scarno, il famoso pezzo di carta rappresenta una credenziale da cui non si può prescindere.

La discriminante è comunque l’esperienza e, in generale, l’insieme di competenze sviluppate durante l’esercizio della professione o, perché no, nello studio da autodidatta ma mirato. A quest’ultimo proposito va specificato che la preferenza dovrebbe andare sui blog di settore piuttosto che sui libri, sul dialogo con i professionisti piuttosto che sulla frequenza di corsi.

Per fortuna, le due cose coincidono, se i corsi sono gestiti da chi realmente lavora nel campo dei social media.
Il titolo di studio più efficace, comunque, rimane il proprio portfolio. Curatelo e troverete clienti, se il vostro obiettivo è il libero professionismo. Se volete lavorare come dipendenti, in ogni caso un buon portfolio supera in importanza anche il più ricco dei curriculum.

Social Media Manager: Libero professionista o dipendente?

E’ una domanda che molti si pongono, a prescindere dalla professione che svolgono. Infatti, nonostante il fisco non sia sempre generoso con i lavoratori autonomi, il libero esercizio affascina per le garanzie di libertà e di autogestione ma anche, in prospettiva, per la possibilità di guadagnare più di un dipendente.

Ciò vale anche per un Social Media Manager?

La risposta è sì, sebbene, come già accennato, è impossibile fare stime su quanto un SMM autonomo porti a casa alla fine del mese. In ogni caso, è possibile individuare dei pro e dei contro sia del lavoro dipendente che di quello autonomo, circoscrivendo la discussione al lavoro del Social Media Manager.

Lo SMM dipendente ha uno stipendio fisso, degli orari ben definiti, ha un numero ristretto di clienti da gestire. Di contro, rispetto ad altre professione, i suoi orari non sono così definiti come si potrebbe pensare. Il web, infatti, non dorme mai e non è raro doversi occupare di un’emergenze anche “dopo le 18” oppure nei giorni festivi.

Lo SMM libero professionista, autonomo, freelance, guadagna potenzialmente di più, non deve rendere conto al capo ma solo al cliente. In linea di massima, può persino scegliere per chi lavorare. Non c’è bisogno è di spendere molte parole su questo: entro certi limiti, è veramente libero. Tuttavia, la libera professione è più stressante per almeno due motivi. Uno, gestire un cliente per intero impone lo svolgimento di varie attività, tra cui l’accounting, e altre mansioni che in genere nelle aziende vengono scorporate (es. il reporting e l’operatività pura).

In realtà, dipende molto dall’attitudine di ognuno e dal peso che si conferisce al concetto di libertà. Se il beneficio della libertà (che spesso è comunque teorica) compensa lo stress aggiuntivo, allora è bene protendere per il libero professionismo. Scegliere non è poi così difficile, anche perché in genere si giunge a una conclusione dopo aver provato entrambe le strade. Chi vuole diventare un SMM autonomo sa che, prima di mettersi in proprio, deve fare un paio di anni o più in agenzia/azienda, se non altro per imparare veramente il mestiere.

Social media Manager: come lavorare Online in regola con il Fisco

Il problema si pone soprattutto per chi vuole lavorare autonomamente. E’ necessario infatti aprire una Partita IVA in quanto la abusatissima Prestazione Occasionale è utilizzabile solo in assenza del principio di abitualità (e se non si superano i 5.000 euro di reddito all’anno, una tantum a parte).

Grazie al Regime Forfettario, però, la Partita Iva impone costi piuttosto ridotti, di gran lunga inferiori a quelli dei regimi ordinario e semplificato. Il requisito per aprire una Partita Iva con Regime Forfettario è il reddito non superiore ai 30.000 euro all’anno. Inoltre, è vietato detenere quote societarie.

La Partita IVA con Regime Forfettario può essere fruita a tempo indeterminato (in passato era obbligatorio passare all’ordinario una volta trascorsi cinque anni). Sono numerosi i pregi del regime forfettario, i più importanti sono i seguenti:

  • Esenzione dall’IVA
  • Esenzione dalla ritenta d’acconto
  • Aliquota Irpef Bassa. Si parte con il 5% per raggiungere il 15% dal sesto anno in poi. Il regime ordinario, invece, varia dal 23% al 42% in base alle fasce di reddito.
  • Semplificazione contabile: non vanno presentati gli studi di settore, non vanno registrate le fatture, non si deve presentare lo spesometro e altro ancora.
  • Apertura gratuita.

Le uniche tasse da pagare sono l’Irpef, come detta al 5% per i primi 5 anni e 15% dal sesto anno in poi, e i Contributi Previdenziali INPS, che si attestano al 25,72%. L’imponibile va però mondato dai “costi d’impresa”, che in questo regime sono (appunto) forfettari e pari al 22% del fatturato lordo.

Paradossalmente, l’unico vero problema relativo all’apertura della Partita IVA riguarda il Codice ATECO, che identifica la professione alle Agenzia delle Entrate. La scelta ricade logicamente su tre alternative:

  • 70.21.00 Pubbliche relazioni e comunicazione
  • 73.11.01 Ideazione di campagne pubblicitarie
  • 73.11.02 Conduzione di campagne di marketing e altri servizi pubblicitari

In effetti, il Social Media Manager svolge tutte e tre le attività: fa comunicazione, crea campagne (redazione piano editoriale), conduce campagne di marketing (se la gestione dei social è finalizzata alla vendita). Dunque, quale scegliere? Il consiglio è di preferire il codice 70.21.00, in quanto consente un margine operativo e strategico più ampio e, in prospettiva, di allargare il proprio business. La professione del Social Media Manager, infatti, è contigua a tante altre, non ultima quella del Digital PR.

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A presto
Giampiero Teresi

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